domenica 17 marzo 2024

Riflessioni per una via crucis di pace, Malnisio 17 marzo 2023

E' una via crucis, ma non è un gesto religioso. Forse si potrebbe dire spirituale, nel senso antropologico del termine. Non è possibile camminare insieme, senza ricordare Pierluigi Di Piazza, che 26 anni fa ha ideato questo gesto di pace e senza pensare a Bepi Mazzon, amico di tutti, sempre presente in tutte le edizioni passate.

Ovviamente in chiave introduttiva, diamo voce al vescovo di Roma Francesco: no alla guerra a oltranza, sì alla trattativa; fermare immediatamente le armi del genocidio di Gaza, cercare insieme una soluzione negoziale. In generale, basta con la politica degli armamenti, avanti con gli strumenti di pace. "Trasformeranno le lance in falci e i carrarmati in aratri". 

Nel caso della prima via crucis, 2000 anni fa, chi sono stati i mandanti dell'assassinio di Gesù? Coloro che hanno obbedito agli ordini, prima di tutto senz'altro i sommi sacerdoti, gli scribi, i capi religiosi dell'antico Israele. Hanno voluto la morte di Gesù, perché riportava alla loro essenza le infinite regole della Torah e metteva così in discussione il loro potere. Lo hanno consegnato all'autorità romana che, impersonata da Pilato, ritiene di lavarsene le mani e di dare il reo in mano ai soldati, per non disobbedire all'imperatore. I soldati hanno ritenuto di fare il loro dovere e a loro volta, come il comandante di Auschwitz, hanno obbedito ai loro superiori". C'è un po' di spazio anche per i discepoli. Pietro ritiene di difendere Gesù usando la violenza contro la violenza e viene rimproverato per questo. Dopo di che, ecco anche un certo pacifismo che non sa più che pesci pigliare: se siamo contro la forza delle armi, se i media non ci danno spazio, se sono anni che diciamo sempre le stesse cose e non incidiamo in nulla sulle decisioni dei capi, tanto vale che cerchiamo di salvarci la pelle... Ecco, tutti questi - a volte anch'io, a volte anche noi - collaborano al mandato di morte.

Ma ci sono, nella via crucis, i mandanti di pace? Non ci sono "i" mandanti, ma ci sono "le" mandanti. Solo le donne restano accanto a Gesù, in tutto il percorso e nel momento supremo. Morendo Gesù grida perfino l'abbandono di Dio, ma Maddalena, la madre Maria, quella di Giacomo e Giovanni, Giovanna, Susanna sono lì, presenti fino all'ultimo momento, portando con loro la forza travolgente dell'Amore. E' forse per questo che saranno le donne le prime testimoni dell'avvenimento che sovverte i piani della storia. La risurrezione non è l'happy end di una vicenda andata storta, ma la rivelazione dell'essenza stessa del Creato, quella nascosta dentro le effimere apparenze di una storia che ritiene che i vincitori siano la ricchezza, la forza e il Potere, in tutte le sue dimensioni.

La risurrezione non è un progetto politico o una strategia alternativa. E' un equivoco nel quale sono ancora incastrati gli apostoli il giorno dell'Ascensione: "E' questo il segnale per scatenare l'inferno e per rovesciare il potere dei romani, instaurando finalmente il regno di Israele?" E' l'equivoco che ha portato Costantino e soprattutto Teodosio a immaginare che l'impero cristiano sarebbe stato il regno di Dio sulla terra. E' un ritornello che giunge fino a oggi, là dove in tempo di democrazia liberale, le varie forme di Democrazie Cristiane hanno ritenuto che bastasse ottenere il consenso e raggiungere gli scranni del Potere per avviare il tempo messianico della giustizia e della pace sulla Terra.

La risurrezione è un mandato di vita non affidato all'imperatore o al presidente, ma a ogni essere umano, nessuno escluso. E' l'invito alla conversione, ovvero, come dice l'etimologia della parola in greco, meta-noia: finora si è pensato così, d'ora in poi si scopre che la Verità dell'essere è un'altra. E la verità dell'Essere è che l'Amore vince, l'amore vissuto, in tutte le sue dimensioni, in ogni istante della vita. Per questo la pace o la guerra non saranno decise dalle trame dei potenti, ma neanche dal numero dei partecipanti alle manifestazioni o dall'acquisizione di spazi importanti sui giornali. Sarà decisa da donne e uomini che decidono di vivere da risorti, ovvero sperimentando in questa vita la bellezza e la gioia di pensare con la propria testa, di anteporre l'interesse comune a quello proprio, di rispettare la natura, dono meraviglioso della nostra madre terra. E lo faranno in gesti quotidiani, comprando in un modo piuttosto che nell'altro, ponendo come linea da seguire il dono e non il possesso, la condivisione invece che l'accumulo, la sobrietà invece del consumo. E lo faranno con l'impegno politico, non intruppati in ordini di scuderia partitici o religiosi, ma ragionando con una coscienza formata dalla profondità dell'amore, in grado di decidere, volta per volta, cosa sia giusto o cosa ingiusto nelle inevitabili scelte che la nobile arte della Politica ogni giorno impone.

La risurrezione segna uno spartiacque, da una parte genera la fede in un'immensa speranza trascendente, dall'altra libera la ragione umana da ogni riferimento all'assoluto. Solo l'Uomo è artefice del proprio destino, non esistono provvidenze o disegni divini ai quali appellarsi. Le scelte che determineranno la guerra o la pace nel pianeta, riguardano solo ed esclusivamente la responsabilità della propria coscienza di consapevoli appartenenti alla famiglia umana.

Oggi, domenica 17 marzo, è già Pasqua, se ognuno di noi tornerà a casa con il desiderio profondo di amare e con esso si tufferà in ogni istante, pienamente presente nella condivisione del mistero del Dolore, del tutto responsabile nel dare concretezza culturale e politica all'annuncio fattivo della Risurrezione, cioè dell'Amore accolto e condiviso ogni giorno della nostra vita. 

domenica 10 marzo 2024

Il comandante di Auschwitz, di Thomas Harding

Avete visto il film "La zona d'interesse"? 

Sì o no che sia, il consiglio è di cogliere l'occasione per leggere lo straordinario libro dello scrittore Thomas Harding, Il comandante di Auschwitz.

Quando lo si apre, non ci si riesce a staccare dalla lettura. E' interessante come e forse più del film, con la differenza che in questo caso tutto è basato su una documentazione rigorosa e la storia raccontata è clamorosamente vera, dalla prima all'ultima pagina.

La pluricitata "banalità del male" non viene testimoniata dalle dolci immagini di una famigliola che vive serena incosciente di ciò che accade al di là del muro. E' invece trattata con un approfondimento storico e psicologico che, nella sua essenzialità, suscita brividi di estrema inquietudine.

Come Plutarco, Harding presenta due vite parallele, una delle quali a lui molto vicina. Da una parte c'è infatti Alexander Howard Harvey, detto Hanns, il prozio dell'autore. Dall'altra c'è Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, il criminale che ha deciso da solo la morte del maggior numero di persone in tutta la storia. L'uno cresce nella Germania, assiste all'ascesa di Hitler e si trasferisce in Gran Bretagna prima della catastrofe. L'altro sogna di diventare un bravo contadino, accudendo gli animali in qualche amena fattoria della Baviera. Il primo si prefigge la distruzione del nazismo e la cattura dei gerarchi che, in un modo o nell'altro, hanno avuto a che fare con la Shoah. L'altro, dopo l'incontro quasi casuale con il mondo delle SS e in particolare spinto da una vera e propria infatuazione per Heinrich Himmler, percorre la carriera di custode dei campi di concentramento fino a diventare comandante ad Auschwitz. 

I due personaggi sono descritti nella loro vita quotidiana, dalla nascita alla morte. E' vero, si ha l'impressione che entrambi siano come qualunque altra persona, desiderosi di vivere una vita serena con la propria famiglia e di avere un buon lavoro. Soltanto che il primo fa parte dell'enorme gruppo delle vittime del nazismo e sente come propri amissione quella di smascherare il più orribile sistema di produzione di razzismo, violenza e morte che l'umanità abbia mai escogitato. Il secondo ritiene di essere nel giusto, obbedendo agli ordini superiori, senza porsi alcuna domanda di ordine etico o empatico sulle proprie azioni. A differenza di quasi tutti gli altri processati a Norimberga, il comandante di Auschwitz ammette le proprie colpe, scrive il numero spaventoso degli uccisi nel campo di sterminio, forse addirittura comprende il proprio mastodontico errore quando, prima dell'impiccagione, augura al figlio di "pensare sempre con la propria tesa e mai con quella degli altri. Non suscita alcuna compassione, ma nella concretezza e crudezza della sua testimonianza si rende molto simile a chiunque, in ogni momento del tempo, pensi di "difendere le ragioni della propria parte", non accorgendosi, se non addirittura contribuendo, alla distruzione dell'altro riconosciuto come il "diverso".

Il film e il libro sono molto diversi fra loro, l'unico punto in comune è il protagonista, ritratto nel cinema attraverso un'analisi psicologica fondata sull'orrore della "normalità" in un contesto radicalmente "non normale". Lo straordinario scrittore Thomas Harding, invece, grazie a un'analisi spietata di testi documentari raccolti in tutta Europa e alle coinvolgenti interviste ai familiari di Höss, ci restituisce veramente la figura di "un uomo come noi". E' uno che si è trovato nel posto più sbagliato possibile, attraverso una sequela clamorosamente ordinaria di scelte quotidiane, dettate da squallidi ma comunissimi interessi quotidiani. Il carrierismo, la raccomandazione, la promozione, l'aumento di stipendio, possono essere i gradini apparentemente insignificanti che fanno salire un possibile bravo imprenditore agricolo fino alla direzione del più spaventoso mattatoio umano della Storia. 

martedì 5 marzo 2024

Gorizia 9 marzo, per la pace in Corso (Verdi)

 

Ecco il manifesto pubblicato dal Comitato per la Pace di Gorizia per invitare la cittadinanza a partecipare all'iniziativa pubblica che si terrà sabato 9 marzo, in Corso Verdi a Gorizia. Ed ecco anche il testo proposto dagli organizzatori per riflettere insieme, in accordo con altre decine di migliaia di persone che manifesteranno sabato con le stesse motivazioni, in Italia e nel Mondo. 

I venti di guerra soffiano sempre più forte.

Le vittime del genocidio nella Striscia di Gaza sono ormai oltre 30.000, buona parte delle quali bambini. La sofferenza del popolo palestinese è talmente grande da suscitare timide reazioni di perplessità perfino in chi, dall’inizio, continua a giustificare questa guerra. Si ritiene infatti che sia normale e giustificata una simile terribile strage, in quanto reazione agli attentati del 7 ottobre scorso.

La guerra fra Ucraina e Russia segna il suo secondo anniversario. Si parla di centinaia di migliaia di morti, tra soldati e civili, oltre che di immani distruzioni. Fin dall’inizio era chiaro che l’unica possibile via di uscita fosse quella negoziale. Invece… invece gli Stati Uniti e con loro l’Unione europea hanno deciso di prolungare il conflitto all’infinito, inviando continuamente armi, con il rischio che da un momento all’altro possa scoccare la scintilla per un tragico ulteriore aggravamento della situazione.

In altre parti del mondo si combattono almeno 84 guerre, per lo più dimenticate dai media, ma non dai costruttori e trafficanti d’armi che speculano sul dolore umano e costringono intere popolazioni alla miseria più assoluta.

In Italia chi esprime dissenso viene mediaticamente azzittito, quando addirittura non si giunge ai manganelli per fermare l’impeto giovanile di tanti studenti che hanno l’unica colpa di voler dichiarare la loro contrarietà a qualsiasi forma di guerra armata. Eppure, in un contesto in cui il Paese sembra sempre più saldamente in mano a una maggioranza trasversale che sostiene Netanyahu e arma Zelensky, l’unica forma possibile di pressione è manifestare.

Esprimiamo pubblicamente il nostro chiaro e dettagliato no alla guerra, no cioè all’invio delle armi nei Paesi in conflitto, al sostegno alla campagna criminale di Israele nella Striscia di Gaza, alle parole dei governanti europei e mondiali che gettano benzina sul fuoco delle controversie internazionali.

Esprimiamo pubblicamente il nostro sì all’impegno per portare i contendenti sul tavolo delle trattative, alla costituzione dei corpi civili di pace europei, all’investimento di risorse umane e finanze per creare le condizioni affinché cessino immediatamente i bombardamenti e gli scontri, all’assunzione della lotta nonviolenta come forma autenticamente degna dell’intelligenza umana.

Esprimiamo piena solidarietà con gli obiettori di coscienza e i disertori, presenti in tutte le Nazioni coinvolte nei vari conflitti. Sono i veri eroi, coloro che si rifiutano di imbracciare un fucile o di lanciare una bomba. Rischiano il carcere e a volte anche la vita per testimoniare quanto sia importante che la pace non sia mai armata, se non dalla consapevolezza di appartenere tutti alla medesima umana famiglia.

Richiamiamo con forza i nostri governanti europei e italiani perché fermino immediatamente questo apparentemente ineluttabile declino. Ci vadano loro al fronte, con l’elmetto in testa, a garantire gli interessi del dio Capitale. Ci vadano loro e lascino stare i nostri giovani che hanno il diritto di sperare in un possibile pacifico e laborioso futuro.

Comitato per la pace di Gorizia

domenica 3 marzo 2024

Sta per uscire Nova Gorica Gorizia, due città in una, la guida bilingue per idealisti, viandanti e ciclisti

 

Mancano due mesi.

A cosa?

Ma è logico, al 3 maggio.

Embhè?

Come embhè? Sta per uscire!

Sta per uscire che cosa?

Eh, non ti dico ancora...

E allora, perché mi dici che mancano due mesi, se poi non puoi dirmi per cosa?

Perché volevo tirarla un po' per le lunghe...

E allora?

Allora il 3 maggio uscirà la guida per conoscere le Culture (con la C maiuscola) della due Gorica.

Come "della due Gorica"?

Sì, si parlerà di "due città in una" e per questo ci si può permettere anche di stravolgere perfino la grammatica. L'edizione slovena è facilitata, basta dire Gorici, grazie al bellissimo e originalissimo duale, ecco riassunte in un'unica parola Nova Gorica e Gorizia. Con i loro bei dintorni, ovviamente.

Quindi sarà in due lingue?

Sì, per ora sì, un'edizione in sloveno (ZTT Trieste) e una in italiano (Ediciclo), poi si penserà anche all'inglese...

A chi è rivolta?

A chi ama camminare e andare in bici, sulle strade della Capitale europea della Cultura. Ciclisti e viandanti di tutto il mondo, unitevi!

E chi l'ha scritta?

Beh, questo te lo dirò un'altra volta. Intanto, save the date: la "prima" presentazione sarà venerdì 3 maggio, ore 18 presso il Kulturni dom di Gorizia. Rigorosamente, in italiano e in sloveno.

Lep pozdrav, dragi bralec!

venerdì 1 marzo 2024

Fermiamo la guerra!

 

Una bella iscrizione su un muro di Pistoia
Putin, Zelensky e von der Leyen, come Netanyahu e i capi di Hamas, ma anche Biden e tanti guerrafondai di casa nostra, stanno ulteriormente e pericolosamente innalzando i toni dello scontro.

La "guerra mondiale" non è più una parola tabù, si comincia a prenderla in considerazione, a pensarla come una necessità. Magari triste, magari orribile, ma pur sempre una necessità.

Se questo piano inclinato non viene raddrizzato, i venti di guerra rischiano di diventare autentica tempesta. E' necessario interrompere subito questa deriva che può mettere in gioco il futuro stesso della vita su questo meraviglioso e drammatico Pianeta.

Sì, ma come fare? Come convincere i governanti del mondo a compiere scelte oculate, ragionevoli, degne dell'umana intelligenza? Come convincere un'opinione pubblica sempre più succube del potere straripante dei media? Come urlare la propria contrarietà, se anche dei giovani studenti indifesi vengono presi a manganellate perché cercano di far sentire la loro voce?

Occorre chiedersi chi può guadagnarci qualcosa da una possibile immane carneficina. Forse gli stessi che già ora si sfregano le mani per il fatto di riuscire a svuotare arsenali e aumentare il pil costruendo nuove e sempre più sofisticate armi. Forse coloro che approfittano di queste industrie di morte per creare posti di lavoro, nell'illusione di poter garantire ai propri cittadini condizioni di vita migliori, dimenticando che tutte queste eventuali apparente conquiste, in caso di guerra, gli si ritorcerebbero contro. Ci vadano loro sotto le bombe o il tiro delle mitragliatrici, non inviino al macello i nostri fratelli, figli o nipoti.

Le parole di questi giorni stabiliscono il fallimento delle speranze del Novecento. Si pensava che il superamento dell'epoca del fascismo e del nazismo, come pure i massacri delle due guerre mondiali avrebbero aperto una nuova strada per l'umanità. Si sperava nella distruzione degli arsenali bellici e nella riconversione delle fabbriche d'armi. Si auspicava una vera società delle Nazioni, dotata di forza giuridica e non solo morale, per poter affrontare e risolvere con le trattative le controversi interne ed esterne a ogni Paese. Si immaginava perfino un mondo senza più confini, la fine di ogni nazionalismo, la centralità dell'essere umano in quanto tale, la libertà di circolazione delle persone ovunque, il superamento degli abissi di differenza tra l'estrema povertà dei sud e la ricchezza dei nord del mondo.

Si desiderava tutto questo e molto di più. E' del tutto svanito questo sogno? Non c'è alcun modo di impedire la catastrofe? Sembrerebbe di no, osservando la farneticante richiesta di aumento di spese militari della presidente della Commissione europea o le commesse per la Leonardo volute dal nostro governo. Ma forse la speranza è l'ultima a morire e quindi qualche barlume ancora c'è. E' importante esprimere la propria contrarietà, "no in nome mio", far capire che si può immaginare una relazione tra le persone non basata sulla difesa dei propri confini, ma sull'eliminazione di ogni barriera divisoria. E' indispensabile uscire dalla logica perversa del "noi contro voi", per mettere al centro il diritto della Persona, di ogni essere che prima di essere italiano, ivoriano, turco, americano o russo, è sempre anzitutto un appartenente alle specie umana o, per dirla in termini più spirituale, una sorella o un fratello facente parte della mia sessa famiglia.

Manifestiamo quindi, perché il violento non è chi protesta contro la guerra, ma chi, seduto sulle poltrone paludate e asettiche del Potere, minaccia di condurre l'umanità al suo definitivo tramonto.

mercoledì 28 febbraio 2024

L'Orsigna, Tiziano Terzani, la pace e la politica...

La strada Porrettana congiunge Pistoia con Bologna, valicando l'Appennino Tosco Emiliano all'altezza del Passo della Collina. Segue poi la stretta valle del fiume Reno. Qualche chilometro prima di Ponte della Vetturina, si dipana sulla sinistra una stretta strada che tra curve e tornanti consente di raggiungere in sicurezza il pittoresco abitato di Orsigna. Oltre l'agglomerato di case, si continua a salire, si passa accanto alla casa di Tiziano Terzani e si prosegue fino a dove finisce la carreggiabile. Venti minuti di cammino nel bosco e si arriva all'albero con gli occhi, una sorta di santuario tra il buddista e il laico, venutosi a creare nel tempo nei pressi dell'albero sotto il quale il grande giornalista amava soffermarsi e meditare. Ci sono tanti segni di una forte presenza spirituale che emana dalla natura, ma anche dalle pietre, dalle bandierine simili a quelle che si vedono nelle foto delle spedizioni alpinistiche nel Nepal. sono come ex voto che raccolgono le ansie, le speranze, i dubbi e le certezze di migliaia di persone che sono arrivate fino quassù, sulle orme di un uomo la cui religione fondamentale è sempre stata quella della concordia e della pace fra i popoli.

Ed è proprio pensando a Tiziano Terzani che sotto l'albero con gli occhi abbiamo collocato anche noi la nostra piccola pietra simbolica, con la speranza di raccogliere il suo testimone e di essere sempre, almeno più possibile, costruttori di pace. E questo è possibile se si è capaci, proprio come diceva Terzani, di ascoltare le ragioni dell'altro. Il che non significa condividerle, ma porre le basi per chiedersi se abbia un senso un intervento violento, a livello personale o internazionale, al fine di risolvere una determinata questione. Quanto questo sia facile a parole, ma difficile in realtà, lo si sperimenta ogni giorno, quando si invoca la pace partecipando a manifestazioni e a gesti eclatanti di protesta e poi non si è capaci di superare neppure le piccole incomprensioni quotidiane, vanificando di fatto la richiesta ai governanti di cessare il fuoco e di sedersi al tavolo della trattativa.

E allora? Allora la strada da seguire implica un impegno, da una parte personale, dall'altra collettivo. Dal punto di vista individuale, è logico che in un tempo drammatico come l'attuale occorre un soprassalto di responsabilità. E' necessario cioè che nel piccolo contesto dell'ordinario scorrere della vita, si ribaltino situazioni incancrenite, si riaprono percorsi di dialogo precedentemente bloccati, si percorrano con nuova convinzione sentieri interrotti. Dal punto di vista collettivo, mai come ora è necessario credere nell'autentica Politica.

Cosa significa ciò? Significa che se accettiamo le attuali regole della democrazia, qualcuno deve prendere su di sé la croce e incamminarsi anche sulla via della rappresentanza. La democrazia - almeno come determinata dal dettato costituzionale - implica da una parte la partecipazione assembleare alla costruzione della società, dall'altra l'accettazione della regola della dimensione elettiva. Tutti possono fare pressione culturale e sociale per ottenere ciò che si ritiene giusto, ma è necessario anche eleggere i rappresentanti del popolo, in modo che essi portino negli spazi governativi e amministrativi le idee e le posizioni di chi li sceglie. Tra l'altro è questa l'etimologia della stessa parola "deputati".

Se si è convinti delle proprie concezioni del mondo, occorre esprimerle in forma partecipata e assembleare, ma anche in quella determinata dalla rappresentanza. Per esempio, se la mia idea di società è internazionalista e ritiene che le armi siano lo strumento principe per affermare le ragioni del Capitale, è giusto che io manifesti per far sapere al Governo di turno il mio disaccordo nei confronti di chi ritiene giusto produrre e vendere armi o inviarle in zone di guerra. Ma se le regole democratiche affidano a chi la pensa diversamente da me di avere una maggioranza che consente di decidere, il modo per cambiare le cose non dipende tanto dal mio costante scandalizzarmi, quanto dalla decisione di mettersi a disposizione del proprio gruppo di pressione culturale, presentandosi al giudizio degli elettori. Lo stesso vale, sempre in termini esemplificativi, per l'accoglienza dei migranti. Se sono convinto dell'umana fraternità o sororità universale, è logico che rifiuterò qualsiasi forma di rifiuto, di respingimento e di maltrattamento, mentre al contrario proporrà accoglienza, condivisione e sostegno. Ma perché la legislazione possa trasformare il mio pensiero in regola valida per tutti, devo cercare di vincere le elezioni. Insomma la concretizzazione della mia istanza morale passa attraverso la straordinaria fragilità della ricerca del consenso elettorale, con tutti i limiti tecnici e mediatici che influenzano in modo determinante un'opinione pubblica ben poco avvezza alla lettura e all'approfondimento.

C'è un'alternativa a tutto questo? Mah, è difficile dirlo. Tuttavia l'evidente spaventosa crisi della democrazia rappresentativa pone una questione decisiva: la situazione è questa per il deterioramento delle istituzioni o per un livellamento in peggio della cosiddetta classe politica oppure è l'inevitabile punto di non ritorno del sistema capitalista? Se la risposta è questa seconda, il problema diventa ben complesso. Come uscire dal capitalismo? Come immaginare e soprattutto realizzare un sistema alternativo? Per arrivarci, si può individuare un metodo che consenta una transizione abbastanza sostenibile e nonviolenta oppure c'è la necessità di agire una vera e propria rivoluzione? E' inevitabile il passaggio attraverso la morte per addivenire alla risurrezione, ben sapendo che lo sprofondamento nella guerra globale nel tempo della bomba atomica potrebbe portare alla stessa cancellazione della Vita sulla Terra?

Insomma, l'insoddisfazione del momento induce a meditare e il pensare deve portare all'azione, in modo concatenato e consequenziale. E' certo che non basti più il rituale stracciamento di vesti e l'indicazione del "mandante" di turno. Occorre piuttosto innestare la marcia e procedere spediti, affinché le proprie istanze non siano sistematicamente mortificate da rappresentanti che non rappresentano, ma che possano incidere sul cambiamento della società. Manifestando pubblicamente, anche correndo il rischio di essere ripagati con qualche manganellata o anche peggio. E gettandosi a capofitto nell'agone della politica rappresentativa.